Questa acquisizione è il frutto di una gestione scellerata di Sardegna Uno che negli anni è stata impoverita, poi indebitata e negli ultimi mesi ha rischiato un fallimento.
Con l'acquisizione da parte di Zuncheddu si potrebbero (il condizionale parlando di emittenza locale è d'obbligo) salvare le professionalità della storica emittente cagliaritana ma si creerebbe una posizione di monopolio unica in Italia (le uniche tre televisioni a livello regionale nelle mani di un solo editore). L'occasione è ghiotta per fare una piccola panoramica della situazione del sistema mediale (non più florido) della Sardegna.
Carta stampata
Il mercato della carta stampata è detenuto da due “grandi” colossi: L'Unione Sarda (molto forte nella Sardegna meridionale) e La Nuova Sardegna (altrettanto forte nella Sardegna settentrionale e centrale). Se L'Unione Sarda, nonostante i suoi anni di crisi e il progressivo impoverimento del giornale può sempre contare su un editore molto forte e del supporto di Videolina (da lustri ormai parte del gruppo editoriale), non si può dire lo stesso per La Nuova Sardegna. Punta di diamante della stampa locale del gruppo Espresso, dopo l'incorporazione del giornale nel gruppo GEDI, lo storico quotidiano sassarese è stato dato in affitto di gestione alla DB Information (il contratto doveva essere di tre anni che poi sono diventati cinque). E nonostante il giornale faccia ancora oggi degli utili, il gruppo GEDI (il quale non può più detenere il giornale a causa della posizione dominante nel mercato della stampa) non riesce a vendere definitivamente la testata.
Stampa sul web
La stampa locale sul web è quella che se la passa peggio. Tutti noi siamo abituati a leggere le notizie locali dai siti web di informazione sia per la rapidità che per la gratuità degli stessi. Quella dei giornali online sembra essere una moda (solo ad Alghero si contano 8 testate online di informazione).
Spesso sono gestite da un solo
pubblicista (di cui è anche il direttore) nel migliore dei casi
coadiuvato da qualche ragazzo desideroso di ottenere il tesserino da
pubblicista che poi diverrà editore/direttore di un altro giornale
online. Gli articoli spesso sono scopiazzati (e neanche rielaborati)
dai comunicati stampa e si somigliano gli uni con gli altri. Non ci
sono inchieste e capita spesso che nonostante la moltitudine di testate non
si riesce a coprire mediaticamente gli eventi di una piccola
città.
Molto spesso questi giornali navigano sotto la protezione di curia, imprenditori e gruppi politici, quindi possiamo capire che la libertà non è sempre garantita.
Radio e televisione
L'emittenza televisiva locale sarda pur
non essendo mai stata numerosa, sino a qualche anno fa era di grande
qualità. Basti citare Sardegna Canta su Videolina, Per la
strada e le trasmissioni sul folklore di Giuliano Marongiu su
Sardegna Uno, Zona franca su TCS, gli speciali e
le dirette de Sa Sartiglia su Nova Televisione e le
trasmissioni di Paul Dessanti su Teleregione.
La crisi
dell'emittenza locale è cominciata da ben prima del passaggio al
digitale terrestre nel 2008 ma fu causata dalla mancanza di idee,
dalla poca lungimiranza di alcuni editori e di mancati investimenti
tecnologici (alcune emittenti della Sardegna trasmettono ancora oggi nell'ormai
obsoleto formato 4/3). Le piccole tv cittadine spesso sono gestite da
2 o 3 giornalisti che per quella tv fanno anche da cameraman e da
tecnici.
Ormai l'unica emittente sarda che riesce ad avere un buon palinsesto è Videolina (pur non avendo una grandissima concorrenza) anche se in più occasioni ha dimostrato di essere una "Tele Cagliari" piuttosto che una vera televisione dei sardi.
Con il prossimo acquisto da parte di Zuncheddu ci sarà una situazione di quasi monopolio molto preoccupante. Se si riusciranno a garantire i livelli occupazionali (già ridotti al minimo) sarà tanto di guadagnato, anche se questa acquisizione ricorda molto il pesce grande che mangia il pesce piccolo in attesa di venir inghiottito da uno squalo.
Credo che il problema dell'emittenza locale sia normativo. Si è pensato per anni di rimpinguare le casse delle emittenti con contributi pubblici a raffica.
La situazione a livello radiofonico è identica. Molte piccole radio locali tirano a campare trasmettendo delle rotazioni musicali o qualche programma preconfezionato altrove e ritrasmesso. Mancano i dibattiti, mancano le sperimentazioni musicali così come mancano le opinioni di chi dovrebbe far vivere la radio. E tutto ciò è preoccupante in quanto stiamo parlando di un medium che in questi anni sta vivendo una seconda giovinezza.
Il problema è normativo e culturale
La legge Mammì del 1990 di riordino del sistema radiotelevisivo italiano sega di fatto le possibilità di crescita all'emittenza locale. La suddetta legge prevede l'esistenza di due categorie di emittenti: la televisione commerciale (come può essere Canale 5 ma anche Videolina) oppure la televisione comunitaria. Le televisioni comunitarie (essendo paragonate a delle società senza scopo di lucro) hanno il vantaggio di avere dei vincoli di bilancio molto più morbidi rispetto ad una televisione commerciale, tuttavia c'è anche un grosso limite alla raccolta pubblicitaria.
La soluzione poteva essere (la riforma andava fatta almeno 20 anni fa) la creazione di una terza tipologia di televisione (riservata alle locali) che si poneva tra la televisione commerciale e quella comunitaria. In questo modo si sarebbe consentito all'emittenza locale (che in molti casi fa vero servizio pubblico) di avere delle entrate pubblicitarie decenti, sgravi fiscali e dei vincoli di bilancio più morbidi.
Paragonare dal punto di vista economico
una televisione commerciale locale con un grande network
nazionale
(magari di proprietà di una multinazionale del settore) è stata una follia e nessuno dei responsabili di tale scempio ha avuto il coraggio di ammetterlo.
Nessun commento:
Posta un commento