Arriva Paramount +. L'ennesimo streaming in un sistema che sta per esplodere


Siete pronti a sborsare 10 euro per l’ennesimo servizio di streaming che ci promette un ampio catalogo di film, telefilm e show di cui la maggior parte di questi neanche guarderemo?
 
Pochi giorni fa è arrivato anche in Italia Paramount +. L’ennesimo servizio di streaming dell'omonimo colosso statunitense, che per il lancio in Italia ha anche ingaggiato attori del calibro di Carlo Verdone e Roberto Benigni.
 
Fa impressione il fatto che in un paese relativamente piccolo come è l’Italia, i grandi colossi dell’intrattenimento si siano buttati a capofitto nel mercato dello streaming, portando ad un’eccessiva frammentazione del mercato con l’ormai serio rischio di far saltare in aria tutto (i conti di Netflix parlano chiaro).
 
Ormai sono palesi agli occhi di molti numerose criticità su questi servizi e i dubbi sul fatto che un sistema del genere possa reggere a lungo anche in previsione dell’arrivo di ulteriori player.

Frammentazione del mercato

Prima dell’arrivo di Netflix il mercato dello streaming in Italia era praticamente inesistente. C’erano le sperimentazioni di Rai (Rai.tv) ed Infinity (che inizialmente aveva un catalogo molto misero e dei prezzi poco competitivi). Al contrario le Pay tv Sky e Mediaset Premium andavano fortissimo.
Netflix ha portato una rivoluzione. Un catalogo sterminato di titoli ad un prezzo contenuto. 
Col tempo arrivarono anche altre piattaforme ed il sistema sembrava davvero mettere a rischio il mercato della pay tv. Anche gli altri player hanno sentito il bisogno di aprire il loro servizio di streaming (su tutti Disney, che al suon di acquisizioni e di chiusure di canali lineari) ha creato il suo servizio di streaming.

Attualmente il mercato dello streaming in Italia è composto da più di una decina di player: Rai play, Infinity, Netfix, Now, DAZN, Prime video, Timvision, Chili, Pluto tv, Apple tv, Paramount +, Discovery + (per citare i più noti). Tanti attori significa un’eccessiva frammentazione dei contenuti. Maggiore concorrenza vuole dire contenuti disseminati qua e la (capita di vedere stagioni di un determinato serial distribuiti su più piaffaforme).
Maggior quantità non vuol dire maggior risparmio.

Tutt’altro che economico

Quando i servizi di streaming sono arrivati nel nostro paese si è parlato di una riduzione dei prezzi rispetto al monopolio di Sky. Tutto vero, se solo il mercato dello streaming fosse dominato da 2 – 3 player massimo. Invece qualsiasi produttore e distributore ha aperto (o è in previsione di farlo) il suo servizio di streaming. Tutti vogliono una fetta di quella che è la moda televisiva del momento.
Tuttavia, ipotizzando un costo medio di 10 euro mensili (alcuni portali costano meno, altri molto di più) per ogni abbonamento, l’utente medio dovrà sborsare una cifra che varia dai 50 euro ai 150 euro mensili: molto più di quanto costa un pacchetto completo di una pay tv. Costo a cui va abbinata una buona connessione in fibra ottica.
E per chi obietta che gli abbonamenti si possono comprare "in società" tra gli amici, dovrebbe sapere che quello tecnicamente sarebbe un'illecito al quale i player dello streaming stanno cercando di porre un limite.

Sconfiggono la pirateria? Una fesseria!

L'avvento di Netflix è stato salutato da molti come un argine alla pirateria così come è successo con lo streaming musicale di Spotify. 
Lo streaming video non è riuscito e non riuscirà nell’impresa a causa dell’eccessiva frammentazione e degli alti costi. Ragioniamo: Spotify contiene ad un prezzo irrisorio la maggior parte della produzione musicale mainstream e non esistente nella faccia della terra (oltre ad una serie di podcast prodotti per la piattaforma). Se ogni etichetta musicale si fosse creata il proprio servizio di streaming, magari distribuendo i contenuti di un determinato cantante su 10 o 15 piattaforme a pagamento, probabilmente ancora oggi la gente utilizzerebbe eMule per scaricare musica illegalmente. Invece (grazie anche ad un sistema terzo) il sistema della pirateria musicale è stato in parte arginato. 
Dal punto di vista dello streaming video la pirateria è stata rinvigorita, grazie alla vendita dei famosi decoder connessi alla rete con i quali vedere illegalmente i contenuti delle piattaforme in oggetto (i cosiddetti pezzotti).

Quantità non è uguale a qualità

La televisione in Italia ha avuto un grande successo fin dagli albori per essere stata una televisione pedagogica fino agli anni 70 e successivamente "un'amica" che ti accompagnava durante tutta la giornata. I palinsesti erano e sono organizzati secondo un determinato stile -o linea editoriale- con il quale lo spettatore medio poteva e può interfacciarsi: (Italia 1 è la rete dei giovani, La7 è la tv dell’informazione, Rai 3 quella di sinistra e culturale ecc.). I servizi di streaming no. Ogni qual volta che entri nella home sei immerso in una marea di titoli che non hanno coerenza tra di loro. Tolti i film e telefilm a basso costo che non considera nessuno, le serie che hanno solo 4 o 5 episodi che non creano fidelizzazione e prodotti che vengono seguiti solo per moda (come Squid game), questi servizi sono utili per fare il classico rewatch di film o telefilm visti in passato. 
Molte delle serie prodotte per queste piattaforme non sono di qualità eccelsa (nonostante si vantino di essere “le serie e gli show di cui tutti parlano”) non hanno una lunga serialità così come non hanno una grande fidelizzazione (una volta finita una serie si passa alla prossima).
La grande differenza tra televisione lineare è streaming è che la televisione lineare quando ha per le mani un titolo degno di nota riesce a creare un evento attorno a quel film o telefilm. Lo streaming non ha questo know how.

Diretta? No grazie

Se per i film e serie tv questi servizi possono dare il meglio, lo streaming si sta dimostrando fallimentare negli eventi in diretta. La Lega Calcio ha deciso ormai 2 anni fa di affidare le trasmissioni integrali delle partite di Serie A di calcio a DAZN. Il prezzo degli abbonamento rispetto a Sky è tutt’altro che diminuito. Inoltre non dimentichiamo che a questo bisogna aggiungere il costo della connessione ad internet. 

Come con Sky, si è costretti ad acquistare l’intero pacchetto serie A, anche se si è interessati a vedere le partite di una sola squadra. Il potere delle televisioni negli anni ha portato anche a stravolgimenti degli orari delle partite (non si gioca più tutti assieme la domenica alle 15, ma su più turni). Il risultato è il vedere l’evento in differita (tra la registrazione e la messa in onda passa più di un minuto), problemi di buffering e connessioni. Le proteste sono all'ordine del giorno con tanto di interrogazioni parlamentari.

Non è oro tutto ciò che luccica

Non si vuole demonizzare lo streaming e le piattaforme di streaming. Molte di queste piattaforme hanno offerto ed offrono degli ottimi titoli. Oltre tutto, lo streaming ha numerosi vantaggi: vedere un film senza interruzioni pubblicitarie è sempre positivo; si possono scoprire o riscoprire serie e film del passato (senza aspettare la messa televisiva). Inoltre la possibilità di poter disdire gli abbonamenti senza penali è ancora un grandissimo vantaggio.

La crisi dei conti di Netflix sta dimostrando che questo non è un mercato ampio: anche se in un terreno differente, valgono le regole del mercato televisivo tradizionale. 
La storia ormai trentennale della Pay tv in Italia ha dimostrato che: 
1) Due operatori sono già troppi;
2) I prezzi devono essere il più possibile popolari.

In aggiunta a ciò, mi rifiuto di considerare i servizi di streaming come il futuro della televisione a scapito della televisione lineare. Sicuramente lo streaming sarà una parte fondamentale del sistema televisivo futuro, ma non riuscirà a soppiantare la televisione lineare: televisione di cui ne viene annunciata la morte da più di 10 anni. Morte non ancora arrivata perché ha dimostrato di essere ancor performativa. Tuttavia anche la televisione classica dovrà rinnovarsi e rivedere alcune sue strategie per poter sopravvivere. Ma questa è un altra storia.

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