La retrocessione del Cagliari è figlia di una gestione scellerata che viene da lontano

Alla fine è successo quello che i tifosi sardi si aspettavano. In seguito al pareggio con un Venezia già retrocesso da diverse settimane, il Cagliari ha sprecato anche l’ultima occasione di rimanere in serie A regalandosi la retrocessione in serie B.
Chi vi parla non è un esperto di calcio (o di sport in generale), ma le cause di questa retrocessione amara sono evidenti anche ai non appassionati.
Questa retrocessione fa male perché è figlia di scelte sbagliate, di una mentalità antica e di una gestione di una società sportiva scellerata.
Giulini è proprietario e presidente del Cagliari da ormai otto anni. Al contrario del suo predecessore Massimo Cellino (che è sempre stato massacrato dai giornali) ha sempre goduto di buona stampa. Durante la sua gestione abbiamo assistito repentini cambi di allenatori (bruciando anche delle buone carriere che stavano nascendo), un piano sportivo mai definito, il progetto del nuovo stadio mai decollato, un monte ingaggi molto elevato per una squadra “provinciale”, due retrocessioni e le salvezze ottenute per demeriti altrui. In questi otto anni si è visto molto fumo e poca sostanza.  
E vero che con Cellino sembrava di stare sulle montagne russe però nonostante l'ex presidente del Cagliari avesse contro istituzioni e stampa ha sempre garantito una sana gestione economica del club, una buona permanenza in serie A, l'arrivo di giocatori che hanno fatto la storia della squadra sarda.
Nell'ultimo anno oltre ad una serie di sconfitte molto brucianti abbiamo assistito ad un presidente ed un allenatore che in televisione facevano la sceneggiata contro presunti torti arbitrali o contro la stampa (da cui hanno sempre avuto un trattamento di favore).
In questi anni i tifosi del Cagliari si sono sorbiti allenatori venditori di fumo, i quali -nonostante gli ingaggi elevati- non hanno mai saputo rispondere agli obiettivi prefissati (Zeman, Zenga, Di Francesco, Mazzarri), mentre altri allenatori meno famosi che -nonostante tutto- stavano ottenendo discreti risultati, sono stati denigrati e messi ingiustamente alla porta (Rastelli, Maran, Semplici), forse perché la società era più impegnata ad ascoltare gli ultras di Facebook e qualche commentatore da tv locale più che affidarsi alle analisi dei direttori sportivi.

In questi anni piuttosto che pensare alla squadra si è pensato alle passerelle per i giocatori, le pubblicità il merchandising, mentre sul campo i risultati non sono mai arrivati e le volte che la squadra è riuscita a garantire la presenza in serie A è stato per demerito altrui.

La retrocessione di ieri non è figlia del caso e fa molto male perché è arrivata nonostante la principale antagonista (la Salernitana) veniva sonoramente sconfitta, nonostante l’arbitro abbia concesso al Cagliari sette minuti di recupero per cercare di strappare una vittoria ad un Venezia che non ha giocato una grande partita.

Infine credo che un pizzico di umiltà debbano farlo anche buona parte dei tifosi cagliaritani. 
In passato hanno difeso allenatori venditori di fumo mentre hanno chiesto più volte la testa di allenatori meno noti che stavano facendo egregiamente il loro lavoro (uno di questi fu Rastelli il quale nonostante riuscì a riportare la squadra in Serie A nel giro di pochi mesi in molti ne chiesero ed ottennero la cacciata).
Nello stadio provvisorio che durerà chissà fino a quando (ma il nuovo stadio non doveva essere completato per il 2020?) campeggia una scritta che recita “una terra, un popolo, una squadra” quasi a voler testimoniare il fatto che il Cagliari è la squadra dei sardi e della Sardegna. Tutto vero, se non fosse per il fatto che ancora oggi durante le partite del Cagliari si sentano spesso e volentieri cori contro la città di Sassari ed il nord Sardegna oltre ai soliti ululati razzisti (episodi isolati certo ma non per questo trascurabili).
Credo che anche una parte della tifoseria debba maturare un atteggiamento migliore nel rapportarsi allo sport e quella che dovrebbe essere la squadra della Sardegna.

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